La mia scrittura è ripetibile. La possono fare tutti. La mia scrittura non è nemmeno mia e io non sono che un ricercatore di formule, di pretesti narrativi intorno ai quali far girare la sostanza delle storie, far girare nelle storie la trottola dei nostri incantamenti e delle nostre pochezze, degli arcobaleni che nessuno ha mai visto e delle preghiere nelle notti di paura da vociare insieme al vociare degli altri.
Quando ho portato in giro le mie geofantastiche proposte e le punteggiature mirabolanti della vita, ho sempre sperato che si aprissero cammini ulteriori, tragitti mai attraversati. Mi sono sempre augurato che generassero altre suggestioni, altri modi belli per dire al mondo e agli uomini che si può andare a dormire sereni e che domani ci aspetta l’antichissimo sortilegio del sole che ritorna e della luna che si bagna a mare.
Per me, l’unica letteratura possibile deve essere generativa, feconda; deve nascondere le conchiglie negli abissi della parola e convincere che ognuno può andare in fondo al silenzio per tornare con le mani piene di stupori, con il respiro agitato dai nomi di mille uomini che chiedono di essere nominati.
Ognuno può portare agli altri la parola che salva, che protegge, che indovina mondi straordinari e paure mai impaurite.
Quando ho incontrato le storie di Donnadolce, Potenza, Pecorone, Puntascarpa, Acqua delle Donne, Muro Lucano ho gioito e gioisco ancora. Quando mi hanno raccontato di Metaponto diventata teatro, quando ho portato a casa libripalla chiamati Pallibri ho gioito e gioisco ancora.
Perchè quanto mi auguravo è accaduto e chi ha raccolto i segni che ho depositato nei racconti, li ha portati in giro per le vite a spalancare i propri campi fantastici, seminare idee e raccogliere storie ancora più belle delle mie.
Grazie. Grazie a chiunque ha giocato. Da Lucca a Potenza, da Ascoli Satriano a Corsano. Grazie ai bambini e grazie agli insegnanti e alle insegnanti che ogni giorno cercano di farsi alleati del vento per accompagnare le infanzie nelle incongnite delle trasformazioni. Grazie a chi, con la parola, convince che anche i cammini più solitari, hanno un vento che li accompagna.
Questa cosa l’ho imparata da un poeta che si chiama Gianmaria Testa.