L’anno scorso il festBook del Festival della Letteratura di viaggio 2015 ha ospitato un mio testo dedicato al territorio lucano dell’Alto Basento. E’ un testo nato nell’ambito di un progetto di promozione del territorio realizzato con Antonio Bruno, un mio amico di sempre.
Alto Basento
Lungo la strada Basentana svettano alcuni paesini lucani. Più aria che mondo. L’indice delle chiese madri a segnalare il divino. È la Basilicata turrita. Un diario dello sguardo. La visione che dialoga con lo spazio.
Questo luogo si chiama Alto Basento. È uno stare a testa in su. Come per dire si alla pioggia. E al destino. Albero, cielo, montagna, casa. E il vento a correre.
L’Alto Basento è la straordinaria scuola delle cose semplici. Il quotidiano promosso al mistero.
Vi abitano le Dolomiti Lucane, segni inspiegabili. Slanci d’arenaria figli del terremoto. L’ululato della pietra. Nel saltare hanno incontrato l’acqua e il vento. E sono diventate giochi. Tratti umani, animali. Capricci di torri, di archi, di caverne, di guglie, di lame, di gole che precipitano nel rio Caperrino.
D’inverno la Montagna perde neve dal naso. Gli spazi precipitano a occhi chiusi. È il viaggiatore a doverli sostenere. Deve avvinghiarsi allo sguardo come il ciclista al suo manubrio.
Il paesaggio è nudo. Tutto silenzio e trasparenze. Profondi versanti, pareti rocciose ripidissime, guglie monolitiche, scarpate, valloni. In fondo si avventurano striminziti torrenti. Tra queste essenze fuori dalle misure, resti di antiche città catapultano la storia della Basilicata indietro di millenni.
Il salto dei campanili decide le periferie dell’abitabile. I paesi sono cappelli di luce sulla nuca della montagna. Nascono dalla pietra, nella pietra. Sono di pietra pure loro. La natura da una parte. L’uomo che la prosegue dall’altra. Un inno da dedicare alla bellezza. Una bellezza tremenda. Anche i vicoli sono case. Quasi atri, quasi salotti. Quasi corridoi. In punta di piedi se ne attraversa il silenzio come un tenue filo di memoria sfilatosi allo scialle delle magiare. Alle spalle si ricuce il rosario dei camini.
Questa terra è una protesta contro la vita di laboratorio. È la piacevole costrizione a ricordare che il mondo ci circonda. E chi pregava soffocato perché s’aprissero al vento le finestre, ora trova soltanto l’Aperto.
E dentro l’Aperto, il viaggio.