Dove si parlerà di Dio, di vie dei canti e chi vuole ascolta una canzone.
Spesso usiamo parole come “ahimè” o “ohimè” per esprimere uno stato di dolore, di negativa sorpresa, di dispiacere. Oppure quando sentiamo un “friccico ner core” e per farlo passare facciamo ricorso a uno dei rimedi più antichi: cantiamo.
È un cantare terapeutico riconducibile al vecchio detto: canta che ti passa.
Sarà un caso, ma la parola utilizzata dai Greci per indicare il canto era “Oimè”, parente dell’esclamazione dolorosa.
È dalla notte dei tempi che si canta per guarire fino al punto di dissolversi nelle segrete armonie dell’universo.
Questo i Greci lo sanno bene, loro che hanno conosciuto Orfeo, colui che come dice Eschilo “con la sua voce… condusse ogni cosa nella gioia”.
Oltre due millenni dopo Eschilo, Rilke scrive: “Orfeo canta!…./ E tutto tacque. Ma proprio in quel tacere / avvenne un nuovo inizio, cenno, mutamento”.
La parola di Orfeo facitore di canti porta nuovi cominciamenti, i soffi del divino dove non c’era che soffocamento e il mutamento dove tutto era muto.
Siamo di fronte alla parola che schiude nuovi tragitti e non è un caso se di fianco alla parola “Oimè”, Canto, i Greci avevano la parola “Oimos”, Cammino.
Il canto mette in cammino la vita, il canto è il luogo in cui la vita si medica e riparte.
Non è una questione esclusivamente greca.
In Australia i Pintubi si ribellano agli uomini della Ferrovia perché mentre questi ultimi vedono solo spazi vuoti in cui costruire e portare il progresso, i Pintubi sanno che quei luoghi, i loro luoghi sono le Vie dei Canti dei loro antenati.
I Pintubi si spostano cantando, misurano in canto terre e cammini, montagne e città.
E nonostante l’evanescenza della voce, quelle tracce sonore da cui sono sorti i cammini e le città dei loro antenati, continuano a essere vivissime, stanno nascoste sotto la polvere e risuonano per chi sa ascoltare la potenza fecondatrice della parola.
Le Vie dei Canti, non solo connettono i luoghi, ma li commettono. Cantare fa nascere le città.
Dall’altra parte dei mari e degli oceani, tornando sul Mediterraneo, il Dio degli ebrei fa arrivare le cose dicendo (non scrivendo). “Sia fatta la luce” e la luce fu. “Sia fatto il firmamento” e il firmamento fu. Ci troviamo di fronte alla poesia intesa come poiesis, come dimensione in cui la parola diventa magica, divina, creatrice.
Non appena il mondo viene detto, il mondo nasce.
È per questo motivo che in principio era il Verbo. E il verbo era voce, corpo in movimento, danza, musica, canto.
Il Verbo era formula in grado di inventare il mondo.
La letteratura e la scrittura sono un cammino che non deve mai smettere di tenere la testa rivolta alle sorgenti della parola. Se così non fosse, nei confronti della parola verrebbe esercitato un tradimento che farà esclissare i mondi.
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Suggerimenti di lettura:
La sacra Bibbia – Genesi vv 1.1. – 1.8
Le vie dei canti – B. Chatwin – Adelphi 2011 – pagg. 26-29
I sonetti a Orfeo – R. M. Rilke – Feltrinelli 1994 – Primo Sonetto
La grammatica della fantasia – Rodari – Einaudi Ragazzi