A chi mi chiede se la #Fantastica, questa antichissima arte di inventare storie, sia un pretesto per esiliarsi dal mondo, rispondo NO. L’esercizio della Fantastica serve per modulare meglio le frequenze del nostro rapporto con gli altri e con la vita, per mettere il nostro pensiero nelle condizioni di aprire varchi nel chissadove e portare gli altri ad abitarli insieme a noi.
E’ la ricerca di recondite armonie, di luoghi in cui offrire la boccaperta degli stupori al cielo, sentire arrivare sotto la pianta dei piedi il tepore di una parola che scova, dietro ogni cammino condiviso, la via dei canti. Ecco, lo straordinario potere della fantastica, esercizio che rinnega e rovescia ogni potere, è nel suo essere al tempo stesso una trascendenza e un radicamento, un abitare allo stesso tempo il cielo e gli abissi, il divino e la polvere. “Tu parla, parla, fammi poggiare il passo su un cammino di pietra“, scriveva un poeta che abita nei miei sentimenti, un poeta palestinese che ha cantato la libertà e la bellezza per tutta la vita e si chiamava Mahmoud Darwish.
Così, nella Fantastica capita di narrare viaggi mai viaggiati, fare i conti con sogghigni senza gatti, ascoltare il mare di meravigliati, meraviglianti paesi che pure mai aprirono porte e che sempre si conobbero senza essere saputi.