Mia amata,
sulle rive di una pagina bianca siedono due innamorati.
Si tengono silenzio nel silenzio e ognuno affacciato sull’abisso, pare in attesa di qualcosa che ritarda. Tutto intorno è muto. È un incantato silenzio di incudini e martelli, di fuochi senza crepitii e di fiori giganteschi che si aprono e chiudono come le ciglia di un Dio che ha perduto la voce.
In lontananza tuoni e fulmini tagliano/abbagliano il cielo come una tela rovesciata di Fontana e in un eccesso di bagliori fanno notte.
Tutto è silenzio, sulle rive della pagina bianca.
C’è un’aria di vigilia, di preparativi. E mi viene voglia di viaggiare al contrario. Con la nuca rivolta al futuro, diretto verso gli stupori che questa vigilia mi promette, a rinnovare il momento in cui il silenzio finì e venne fuori la Parola.
Forse, mia amata, se scrivo è per sentire il batticuore della prima volta, lo stupore della vita che esce dalla crisalide e diventa cammino, canto, racconto.
Da quella notte, sul ciglio della pagina si sono seduti innumerevoli uomini, a vedere l’onda succedere all’onda, ognuna uguale all’altra e tutte diverse.
Come le parole e i racconti che da quel giorno gli uomini si lanciano per tenersi forte alla vita.
Quelle parole come le onde tornano da millenni e solo chi è seduto in riva al mare accetta e spera che ricomincino sempre. Altri, in riva al fiume, pensarono che tutto scorre, e rimasero quasi muti.
Intanto scrivo, mia amata. E scrivendo parto. Una partenza senza mete, un non sapere dove si va a finire; ignorare chi ti prende, prendere chi ti guarda e si chiede dove sei.
Perché scrivere è sempre sussurrare qualcosa all’orecchio di chi manca, un gioco di sguardi nel buio, di pronostici. Di oroscopi capricciosi che portano in pegno il desiderio di felicità.
Eccoci qui, mia amata, sulle rive di questa pagina bianca che pare una preghiera ancora tutta da pregare.
La formula di un fuoco che le parole strofinate nella bocca dei presenti accesero sopra il gelo del mondo.
Eccola questa pagina senza moti ondosi, lenzuolo di mare sotto il quale una sirena dorme incantata e mille incanti attende ancora per non svegliarsi e continuare a riempire la vita di sogni.
Scrivo per incontrarti, mia amata. E adesso vado. Entro nel mare. Devo lasciarti.
Che stranezza: scrivo per ritrovarti, ma per scrivere devo lasciarti.
Un sortilegio. Un paradosso. Ecco cosa è scrivere. Essere al tempo stesso una vigilia e un trapasso. Il prima e il dopo. Un’attesa e la memoria di un incontro.
Tutto nel mentre di una parola che a un certo punto entra in uno spazio bianco.
Forio, 20 febbraio 2016