L’anno scorso, in quinta elementare, c’erano 3 bambini italiani e 17 stranieri. Un’invasione. La gente scappava dal quartiere. Poi, grazie allo straordinario lavoro di insegnanti, educatori, artisti e genitori, qualcosa è cambiato. Adesso i romani tornano e costruiscono insieme agli stranieri tentativi poetici di dialogo.
Lungo i giganteschi corridoi della scuola Pisacane, capita di veder passare gente con cappelli a falde larghissime o con vesti sui cui ricami è scritta tutta la geografia di terre lontane; le mappe alle pareti hanno odori strani, intensi: sono realizzate con tutti gli aromi e le spezie che ogni bambino ha portato dai paesi di origine.
Sempre lungo i giganteschi corridoi, capitano gallerie di volti disegnati. Sono i loro volti, i volti dei bambini.
Il volto di Cheng disegnato da Andrea, di Samira disegnata da Moammed, di Carlo disegnato da Teodora e così via.
Ognuno, per entrare meglio nelle storie dell’altro, nel volto dell’altro ha viaggiato, come se fosse una mappa tutta da decifrare e da inventare nuovamente.
In un colpo solo ho imparato cosa intendeva Nussbaum quando diceva che per superare i pregiudizi, bisogna invitare qualcuno a scrivere, immaginandole, le storie degli altri. Un modo per giocare a indossare davvero le sue vicende e le sue derive, i suoi desideri e i suoi incanti.
Alla Pisacane di Roma, senza aprire bocca, grandi e bambini mi hanno raccontato storie incredibili di pace e fratellanza.