Mia amata,
dicevano una volta una parola.La parola era abracadabra e subito dopo averla pronunciata, tutto quello che veniva detto era creato.
Era un tempo magico che rendeva possibile accettare doni da chi niente aveva e i mortali scambiavano alfabeti al posto del poco pane, per avverare mondi con le parole degli altri.
Erano popoli di mare e con il mare capivano tutto ciò che li circondava.
Con le loro lingue ondulate e abissali nuotavano il mondo e invidiavano i popoli dei giardini, che loro chiamavano tessitori di ghirlande.
Forse per il sale che seccava le loro parole, amavano le parole piene di vocali, suoni liquidi e fertili, capaci di germogliare gli amori.
La loro parola sacra era la parola aiuola, perché conteneva i fiori mai respirati.
Abracadabra mia amata.
Dico il nome tuo e ti avveri con il tuo piccolo sciame di effetti: amuleti, matite per le labbra, un piumino, la lima per affilare i graffi.
Ti dico ed esisti. Ti pronuncio e sali più in alto dei sospiri che si fermano tra i rami, più in alto dei voli che scrivono la leggerezza sul celeste.
Eppure il tuo nome non mi è soltanto cielo.
Il tuo nome è anche la mia caduta, la polvere prima della pioggia, il mio balbettare quando provo a suonare le lettere per fare un po’ di musica nel rumore del mondo.
In questa sera di precoce primavera, mia amata, mi ritrovo sul davanzale dei miei pensieri a guardare le stelle cadenti tra i fili scomposti del lampadario e mi chiedo in cosa consiste la tua bellezza.
Ti parlo senza averti, Mia amata e mio malgrado, con le stesse parole con cui stendo nei tuoi ascolti un sentiero di lune che ti porti fino a me, con le stesse parole organizzo anche la trama delle tue vertigini, la fragilità dei tuoi smarrimenti.
Eccessi e mancanze. Mi riempi il cuore e mi manchi, sono prolisso e mi morde il silenzio, sono pieno di te e non possiedo più nulla.
E ti scrivo, mia amata.
La scrittura è la passione degli innamorati.
L’amore è la missione degli scrittori. Anche quando parlano d’altro.
Abracadabra anche per loro, per gli scrittori, questi zingari degli alfabeti che si ritrovano la scrittura attaccata alle maniche come un cane che tira dove ha fiutato uno stupore.
Portano i nomi a galla nel respiro, gli scrittori, li depositano nei palmi delle mani di tutti coloro che pure mai hanno conosciuto e si assumono l’inumano compito di far brillare le scomparse, prendere quello che si è perso, tutto ciò che dopo aver compiuto un’acrobazia sul filo degli incanti, è tornato a confondersi con il tutto.
Abracadrabra, mia amata, mentre sono in viaggio da un mare all’altro, passa il tuo nome sul bagnasciuga, passa un ambulante sul bagnasciuga come il nome tuo nei miei pensieri, come un treno per le stazioni del nome mio.
Abracadabra, mia amata. Nella fatica meravigliosa di afferrarti, strofino le mie parole contro la vita e si accende un fuoco. Con questo riscalderemo le nostre bocche chiuse nelle serate dei lunghi silenzi, quelle in cui nessuna cosa vorrà essere detta e il mondo ci chiederà di aspettare ancora, prima di essere avverato.
A presto, mia amata.
Lecce – 10 marzo 2018