Mia amata,
per arrivare al Salone dei Rifiutati bisogna scendere dalla città, passare dal sopra al sotto, dalle case alle industrie, dalle industrie al poco, dal poco al lontano. Per arrivarci si passa dai quartieri agli smarrimenti per abbandoni progressivi.
Il confine lo segna il fiume.
Prima del fiume c’è la città che scende e che sale, che si affanna e si stanca lungo la contorsione delle sue salite.
Dopo il fiume c’è la periferia che si addormenta e nel letargo della bellezza, custodisce un desiderio di città venuto male.
In questi luoghi, mia amata, è nato il Salone dei rifiutati.
Il Salone dei rifiutati è stata la nostra scuola. Qui, dentro uno spazio vuoto come una barca in attesa di avverare un viaggio, incontro dopo incontro, oggetto dopo oggetto, abbiamo imparato che
una nuda geografia di pareti può diventare una casa, un’anonima combinazione di misure può diventare un luogo.
Bisogna soffiarci dentro la vita, mia amata.
L’abbiamo soffiata nella distrazione degli scarti e nel corso di dieci anni, poco alla volta, una geometria senza significati è diventata un piccolo focolare urbano, un ombelico in cui rannicchiarsi per allontanare certe solitudini che solo una città sa inventare.
A mani nude, avanzando nel silenzio degli oggetti, abbiamo disegnato una mappa delle storie nascoste, un catasto delle memorie custodite nella materia.
Abbiamo svegliato il riposo delle piccole cose per accompagnarle a un nuovo, giocoso entusiasmo, a una nuova anagrafe degli stupori capace di prendere gli altri per mano e rinnovare il senso corale dei luoghi e del batticuore, dell’andare in gita verso il non ancora, il chissadove, l’opperbacco.
Adesso è tempo di mettersi in viaggio, mia amata. È tempo di salutare il Salone dei rifiutati.
In questi giorni ci capita spesso di chiederci se le nostre case sono i luoghi da cui partiamo o quelli verso i quali ci dirigiamo, di chiederci come funzionano gli incontri tre le memorie e gli orizzonti.
Forse la nostra casa può essere soltanto nel tragitto che si compie di passo in passo.
Affamati di bellezza, incapaci di dare risposte, più forte di tutto ci arriva la meta del nostro nuovo viaggio.
Si chiama MOON.
Tutto ciò che è nato al Salone, sta andando lì. E noi con loro.
A presto, mia amata.
Quando verrai via dal Salone dei rifiutati e chiuderai per l’ultima volta la sua porta, lascia pure accesa la luce.
Nella sera degli arrivederci, come un faro, il vecchio Salone ci accompagnerà fino al giorno nuovo. Ad attenderci ci sarà il MOON, Museo-Officina degli Oggetti Narranti.
Potenza, Salone dei Rifiutati – 03/03/2018