La Lettera dell’amato / Il pensiero delle soglie

Mia amata,

sono da poco rientrato. Nel tentativo di scriverti questa lettera sto provando a rimestare dal fondo delle mie indolenze, parole che avverto indisponibili.

Muovo la penna nel vuoto quasi fosse un’antenna da sintonizzare sulle frequenze di una carezza; o una lancia pronta a intercettare segni da predare sulla pagina.

Di certo ci sarà qui intorno, in questo tacere che non si scioglie, una chimica in grado di combinare le stagioni e risvegliare gli ascolti; in grado di indovinare una musica che venga da sola a medicare tutte le sere trascorse alla finestra, le vigilie che non vollero avverarsi, il grido che si gridò prima ancora della ferita.

Ricordo quel giorno in cui ballammo senza nemmeno sapere il nome; poi corremmo, a sfinimento come le donne di Picasso, per scoprire che non ci eravamo mossi da lì.

Sarà stato forse per la felicità, se dai nostri disastri vennero fuori scherzi belli da piangere e

pablo-picasso-donne-che-corrono-sulla-spiaggia

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ombrelli aperti per riparare le formiche dal sole.

Sono andato lontano mia amata,

e nutrivo in me, di me si nutriva, il senso rassicurante dei gusci, il pensiero di tornare a casa.

Sono tornato a casa e mi visita l’altrove.

Come se essere tutto nel qui, o tutto nel là, non sia possibile.

E forse vivere è questo eterno ridefinire il dentro e il fuori, questo incessante dialogare tra il vicino e il lontano, il fantastico e il reale.

Forse vivere è un uomo con la matita in mano che ogni giorno smisura le sue soglie.

Un po’ più in là, un po’ più in qua, come tirare gli elastici delle proprie scarpe ferite, o suonare una fisarmonica per indovinare le note con cui la vita si mette a ballare.

 

Mia amata,

quell’uomo ci sarà fino alla fine della sabbia e del vento, ovvero del tempo e dello spazio.

Ci sarà fino a quando le nostre case avranno spazi per custodire valigie, valigie piene di cielo.

Quell’uomo, a volte, muovendosi lungo l’esile orizzonte delle soglie, sentirà il richiamo di altri orizzonti, e ci andrà e si perdevelazquez-las-meninasrà come sta per fare l’uomo di Velasquez che ci consegna un ultimo indugio prima di entrare nell’abbaglio, in quella porta schiusa in fondo alla tela che sembra una lacerazione dei misteri.

Noi forse lo seguiremo e per eccessi di luce faremo notte e per eccesso di notte sogneremo.

 

 

Mia amata,

devo andare.

Vorrei scriverti una lettera tutta s/composta da parole che non si trovano.

Come per nutrirmi di smarrimenti, come se smarrirsi fosse uno dei pochi modi possibili per continuare a essere, restare reali e dal reale continuare a chiedere di non essere svegliati fino a quando i sogni non saranno compiuti.

A presto, mia amata.

Roma, 23 settembre 2016