Mia amata,
quanti silenzi conosci? Lo hai mai compilato un registro?
Li hai mai detti uno per uno, consegnandoli alla voce per ricavarne un labirinto?
Li hai mai disposti su un foglio uno dopo l’altro per redigere la cartina geografica di Babele?
Quanti silenzi conosci, mia amata e perché questa notte non ti metti a dormire alle porte del mio orecchio? Perché non mi proteggi dal silenzio furibondo che sto ascoltando?
Sto ascoltando il silenzio, mia amata. Ci pensi? Poco fa ti ho chiesto di dire, di scrivere i tuoi.
Perché nemmeno il silenzio può stare zitto, nemmeno il silenzio ha il diritto di tacere se diventa pane, vita, volo, ferita. Anche il silenzio quando entra nel principio si fa verbo.
Che sia il linguaggio delle stagioni ostili o il custode degli incanti, il silenzio dice. Ci illudiamo che sia un luogo dove tutto si sigilla e tace e invece tutte le volte in cui lo incontriamo, in cui ci abita, non fa altro che parlarci.
A volte il silenzio è un vetro rotto. Vi arrivano parole colme di graffi dopo che il respiro e i ginocchi sono passati nella vita e hanno trovato le cadute; si insinuano parole piene d’affanni come un medico notturno per le vie del pianto.
A volte il silenzio è un finestrino appannato tra il dentro e il fuori, il caldo e il freddo, il tepore delle parole e il gelo di una solitudine: trasparenza opaca attraverso la quale passano le parole e incontrano intorno alla stessa tavola, a mangiare insieme, la felicità e il dolore, la paura e lo stupore.
A volte il silenzio è un sipario che precede il mondo, che lo VIGILIA come fanno gli ascolti nelle sere dei racconti.
A volte il silenzio è livido come il mare umiliato dal vento, come il mare che il vento di questa sera getta contro gli scogli e sputa in gocciole di schiuma e di sale sulla faccia di chi passa a ridosso della marina.
Il silenzio segna, insegna, mia amata.
Lo sanno bene i poeti, che nel silenzio vanno a scuola, che col silenzio fanno il tirocinio del dicibile, il m’ama non m’ama tra l’abisso e la superficie.
Il silenzio parla, mia amata. Lo sanno bene i narratori, che lanciano al silenzio di chi ascolta parole come legna secca perché il fuoco non si spenga, perché in quel fuoco ci sono l’ago e il filo per cucire la corda dei legami e far ballare la vita.
Il silenzio parla, mia amata. Lo sanno bene gli innamorati nel giorno delle partenze, quando nessuna parola è disponibile a camminare lungo il filo invisibile che lega un nome a un nome e quel tacere è un pianto, quel pianto una casa, quella casa è la delusione di ogni domicilio.
Mentre ti parlo, mia amata, mi vengono in mente i matti di Fellini, mi viene in mente Fellini: se tutti facessimo un po’ più di silenzio, forse qualcuno potrebbe capire.
Il silenzio è anche questo, mia amata, un sentiero di nebbie e di stelle, su cui poggiare il passo per dare un senso alla vita.
A presto, mia amata
Manfredonia, 30/11/2019